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Traccia | Giurisprudenza | Svolgimento |
Traccia
Tizio è iscritto alla Facoltà di Lettere dell’Università statale di Beta, ma la sua vera passione è l’informatica.
Pur essendo iscritto da moltissimi anni e pur avendo già ultimato la tesi, al giovane mancano ancora dieci esami alla laurea.
Tizio non ha, invero, alcuna intenzione di prepararli, non essendo affatto interessato alle materie del suo piano di studi, da lui ritenute troppo noiose.
Per contro, però, non intende nemmeno abbandonare quella facoltà in quanto, così facendo, darebbe un grande dispiacere all’anziano padre, che in passato è stato un celebre professore di Lettere Antiche.
Decide, quindi, di sfruttare le sue competenze in campo informatico per raggirare il problema: dopo essere riuscito ad insinuarsi abusivamente nel sistema informatico dell’Università, entra nella sua pagina personale ed inserisce gli esami mancanti, in realtà mai sostenuti, facendo falsamente risultare di aver completato il suo percorso di studi.
Successivamente, dopo aver espletato tutte le formalità presso la segreteria degli studenti, comunica alla famiglia la data della laurea, con immensa gioia del padre.
Arriva il grande giorno e tutto va per il meglio: dopo una brillante discussione della tesi e la proclamazione da parte della Commissione di Laurea, seguono i festeggiamenti.
Il giorno successivo, peraltro, alcuni colleghi di Tizio, che conoscevano bene la sua situazione universitaria, stupiti per quanto accaduto, espongono le loro perplessità in segreteria. La segreteria, a sua volta, ravvisa delle irregolarità riguardanti il percorso di studi del ragazzo, che, stando a quanto attestato, avrebbe conseguito dieci esami – alcuni dei quali particolarmente impegnativi - nell’arco di soli due mesi, e soprattutto, di due sole sessioni d’esame. Alla luce di ciò, quindi, l’Università presenta una querela contro ignoti; dopo aver avviato le indagini, emerge che il sistema informatico sia stato violato dal computer di proprietà di Tizio.
Viene, quindi, aperto un procedimento penale a carico di quest’ultimo ed il giovane si rivolge a un legale, al fine di verificare la rilevanza delle sue azioni.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, premessi brevi cenni sugli istituti giuridici sottesi, rediga un parere motivato sulla vicenda.
Giurisprudenza
Cassazione penale, sez. II, 10 settembre 2018, n. 48553. A differenza del reato di truffa, nel caso della frode informatica l'attività fraudolenta dell'agente investe non il soggetto passivo, di cui manca l'induzione in errore, ma il sistema informatico di pertinenza della stessa persona offesa che viene manipolato al fine di ottenere una penetrazione abusiva (nella specie, la Corte, considerando che il ricorrente aveva messo a disposizione la propria postepay ad altri soggetti rimasti ignoti che avevano poi materialmente realizzato l'accesso abusivo ai conti correnti, ha confermato la sussistenza del reato in termini concorsuali).
Cassazione penale, sez. II, 02 febbraio 2017, n. 9191. La frode informatica si caratterizza rispetto alla truffa per la specificazione delle condotte fraudolente da tenere che investono non un determinato soggetto passivo, bensì il sistema informatico, attraverso la manipolazione. Si tratta di un reato a forma libera finalizzato sempre all'ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno ma che si concretizza in una condotta illecita intrusiva o alterativa del sistema informatico o telematico.
Cassazione penale, sez. II, 01 dicembre 2016, n. 54715. Il reato di frode informatica si differenzia da quello di danneggiamento di dati informatici, di cui agli artt. 635-bis e ss. cod. pen., perché, nel primo, il sistema informatico continua a funzionare, benché in modo alterato rispetto a quello programmato, mentre nel secondo l'elemento materiale è costituito dal mero danneggiamento del sistema informatico o telematico, e, quindi, da una condotta finalizzata ad impedire che il sistema funzioni.
Cassazione penale, sez. II, 20 novembre 2014, n. 52680. Integra il delitto di cui all'art. 615-ter c.p. la condotta di colui che acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto, violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare dell'elaboratore per delimitarne oggettivamente l'accesso. (Fattispecie in cui è stata ritenuta penalmente rilevante l'alterazione del funzionamento di alcune caselle vocali riservate ai dipendenti e programmate in modo che partissero telefonate a ciclo continuo dal numero del gestore verso le utenze mobili prepagate con il profilo "autoricarica" in uso agli imputati).
Cassazione penale, sez. VI, 11 luglio 2014, n. 37240. Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 479 c.p., sono qualificabili come ideologicamente falsi il verbale di seduta di laurea e lo stesso diploma quando gli stessi sono stati formati o emessi sulla base di documenti e certificati concernenti esami di profitto viziati da falsità materiale e/o ideologica, in quanto relativi a prove di esame mai sostenute. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che il verbale e il diploma di laurea, pur essendo atti dispositivi, fanno tuttavia riferimento all'adempimento da parte del candidato di tutte le condizioni stabilite dal regolamento universitario, e quindi attestano l'esistenza di una situazione di fatto costituente il presupposto per il loro compimento; con la conseguenza che i componenti la commissione di laurea in buona fede sono autori immediati del reato di falso ideologico, in quanto tratti in inganno dal relativo "statino", anch'esso falso, attestante la piena regolarità del percorso universitario).
Svolgimento
Al fine di verificare la rilevanza penale di quanto posto in essere da Tizio, occorre, in primo luogo, analizzare il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all’art. 615-ter c.p.
La richiamata norma, al comma 1, punisce con la reclusione fino a tre anni “chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo”.
Il bene giuridico tutelato dal disposto normativo de quo è costituito dal domicilio: esso deve essere inteso nella particolare accezione di “domicilio informatico”, consistente in uno spazio ideale, ma anche fisico protetto da misure di sicurezza, all’interno del quale sono contenuti i dati informatici, di pertinenza della sfera individuale.
Sotto il profilo oggettivo, il legislatore ha individuato due distinte condotte: la fattispecie in esame, difatti, può integrarsi sia mediante l’accesso abusivo a un sistema informatico o telematico protetto, sia attraverso il trattenersi all’interno dello stesso contro la volontà, espressa o tacita, di chi abbia il diritto di escluderlo.
Nel primo caso, dunque, il soggetto agente si introduce abusivamente nel sistema; nel secondo, questi, inizialmente autorizzato a farvi ingresso, vi si intrattiene contro il volere del titolare dello jus excludendi alios.
L’elemento soggettivo del reato ex art. 615-ter c.p. è costituito dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di porre in essere la suesposta condotta criminosa.
Nel caso prospettato, Tizio si è inserito abusivamente all’interno del sistema informatico universitario, entrando, così, nella sua pagina personale.
Tale condotta è di per sé sufficiente ad integrare il delitto ex art. 615-ter c.p., del quale Tizio sarà, quindi, chiamato a rispondere.
Posto ciò, occorre verificare quale rilevanza assuma la successiva modifica dei dati contenuti all’interno dell’anzidetto sistema.
A questo proposito, giova rilevare che l’art. 640-ter c.p., rubricato “Frode informatica”, al primo comma prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da euro 51 a euro 1.032 per “chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.
Per quanto qui d’interesse, il comma 2, richiamando il disposto di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, c.p., prevede un aumento di pena quando il fatto sia stato commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico.
Il bene giuridico che la norma mira a tutelare è l’inviolabilità del patrimonio.
La condotta tipizzata dal legislatore consiste nel procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno mediante l’alterazione del funzionamento di un sistema informatico o telematico, ovvero attraverso un abusivo intervento su dati, informazioni o programmi in esso immagazzinati o ad esso pertinenti.
Sotto il profilo psicologico, la fattispecie in esame richiede ai fini della sua configurazione la sussistenza del dolo generico, ossia della coscienza e volontà di porre in essere la suesposta condotta delittuosa.
Con riferimento al caso di specie, Tizio, una volta insinuatosi abusivamente nel sistema informatico, è intervenuto sui dati in esso contenuti e ha fatto falsamente risultare come conseguiti esami in realtà mai sostenuti.
La condotta de qua integra tutti gli elementi costitutivi della fattispecie ex art. 640-ter c.p.; inoltre, il fatto che il sistema informatico appartenga all’Università statale di Beta configura l’aggravante di cui al comma 2, poiché la frode informatica è stata commessa ai danni dello Stato/di un ente pubblico.
Tizio, quindi, dovrà essere ritenuto responsabile del reato di frode informatica aggravata, ai sensi dell’art. 640-ter, comma 2, c.p.
A questo punto della trattazione, è necessario analizzare la condotta posta in essere dai commissari di laurea, i quali hanno consentito al ragazzo di laurearsi pur non sussistendone i presupposti.
A tale proposito, occorre analizzare la fattispecie di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, tipizzata ex art. 479 c.p., la quale, per quanto qui d’interesse, punisce “il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente (…) fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità”.
Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame è l’affidamento della corrispondenza al vero delle informazioni contenute nell’atto.
Si tratta di un reato proprio: come facilmente evincibile dalla norma, esso può essere commesso solamente dal pubblico ufficiale, secondo la definizione fornita dall’art. 357 c.p.
L’elemento oggettivo del reato di falso ideologico ex art. 479 c.p., per quanto qui d’interesse, è costituito dalla formazione, da parte del soggetto qualificato, nell’esercizio delle sue funzioni, di un atto che attesti falsamente fatti dei quali sia destinato a provare la verità.
L’elemento soggettivo deve, invece, ravvisarsi nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di porre in essere la falsa attestazione.
Nel caso prospettato, i commissari, nel compilare il verbale di seduta di laurea ed il relativo diploma di Tizio, rivestono certamente la qualità di pubblici ufficiali; così qualificati, hanno falsamente attestato che sussistessero tutti i presupposti necessari per il conseguimento del titolo da parte del ragazzo: tale condotta integra certamente l’elemento oggettivo del delitto ex art. 479 c.p.
Quanto appena esposto trova conferma anche in una recente pronuncia della Suprema Corte, nella quale si è affermato che “ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 479 c.p., sono qualificabili come ideologicamente falsi il verbale di seduta di laurea e lo stesso diploma quando gli stessi sono stati formati o emessi sulla base di documenti e certificati concernenti esami di profitto viziati da falsità materiale e/o ideologica, in quanto relativi a prove di esame mai sostenute” (Cass. Pen., sez. VI, 11 luglio 2014, n. 37240).
Ciò che, peraltro, manca perché questi possano essere ritenuti responsabili del reato de quo è l’elemento soggettivo: i commissari, infatti, avevano agito in tal senso perché ingannati dalla manomissione operata dal Tizio al sistema informatico dell’università; dai dati forniti dalla segreteria ai commissari risultava, dunque, che il giovane avesse sostenuto tutti gli esami richiesti dal suo piano di studi.
A questo proposito, occorre dunque introdurre l’analisi dell’istituto dell’errore.
L’art. 47 c.p., rubricato “errore di fatto”, al comma 1, prevede che “l’errore sul fatto che costituisce reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
Perché assuma rilevanza ex art. 47 c.p., l’errore deve riguardare un elemento materiale del reato e deve essere tale da produrre una difettosa percezione o ricostruzione della percezione, che alteri il presupposto del processo volitivo. Nell’ipotesi in cui, invece, la realtà sia stata percepita correttamente e l’errore ricada sull’interpretazione tecnica della stessa e sulle norme che la regolano, non potrà trovare applicazione la scusante di cui all’art. 47 c.p.
In ogni caso, laddove si tratti di un errore colpevole, la punibilità non è esclusa qualora la fattispecie sia sanzionata a titolo di colpa.
Nel caso di specie, poiché, come già rilevato, i commissari hanno agito erroneamente convinti della sussistenza di tutti i presupposti necessari per il conseguimento del titolo di laurea da parte di Tizio, l’errore in cui questi sono caduti ha condotto ad una difettosa ricostruzione della realtà, che si è riflessa sul processo volitivo: ciò integra, quindi, gli estremi dell’errore ex art. 47 c.p.
Peraltro, occorre ulteriormente rilevare che questo sia stato determinato dall’errore perpetrato nei loro confronti da Tizio mediante la manomissione dei dati contenuti nel sistema informatico.
A questo proposito, l’art. 48 c.p., rubricato “errore determinato dall’altrui inganno”, prevede che “le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche se l'errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall'altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l'ha determinata a commetterlo”.
Ai fini dell’applicazione della disciplina ex art. 48 c.p. è necessario, dunque, che l’errore nel quale sia incorso il soggetto agente (denominato “autore immediato”) sia stato determinato dall’inganno perpetrato nei suoi confronti da altri; occorre, altresì, che sussista, in capo a colui che inganna (il cosiddetto “autore mediato”), il dolo richiesto per la commissione del reato integrato dall’ingannato.
Nel caso di specie sussistono entrambi i suesposti requisiti: Tizio ha, infatti, fatto figurare di aver falsamente sostenuto tutti gli esami richiesti dal suo piano di studi al fine di trarre in inganno i commissari di laurea e di riuscire a conseguire il titolo.
Del reato di cui all’art. 479 c.p., commesso materialmente dai commissari, sarà quindi chiamato a rispondere Tizio ex art. 48 c.p.
Alla luce di quanto finora affermato, Tizio, in primo luogo, accedendo abusivamente al sistema informatico dell’Università di Beta ha integrato il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all’art. 615-ter c.p.
La successiva condotta da lui posta in essere, consistita nel modificare i dati immessi nel predetto sistema, ha, invece, integrato la fattispecie aggravata di frode informatica, ex art. 640-ter, comma 2, c.p., avendo commesso il fatto ai danni dello Stato/ente pubblico.
Da ultimo, questi sarà chiamato anche a rispondere del delitto di falso ideologico ex art. 479 c.p., del quale, seppure sia stato commesso materialmente dai commissari di laurea, dovrà essere ritenuto responsabile in ragione dell’inganno da lui perpetrato nei confronti dei pubblici ufficiali, ex art. 48 c.p.