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Traccia | Fattispecie | Istituti | Giurisprudenza | Svolgimento | Conclusioni |
Traccia
Nel corso di un’indagine effettuata all’interno di una casa di riposo, a seguito della denuncia presentata dai parenti dell’anziano Tizio, si scopre che lo stesso sia stato vittima di molteplici condotte violente, consistite in schiaffi, pugni, sputi, nonché nell’utilizzo di espressioni ingiuriose nei suoi confronti.
Inoltre, l’uomo, affetto da gravissime difficoltà deambulatorie, denuncia di essere stato lasciato per giorni e giorni a letto, senza che nessuno provvedesse alla sua igiene personale, né a fargli cambiare posizione, con conseguente formazione di dolorose lesioni da decubito.
A seguito di specifici esami del sangue, emerge inoltre che all’uomo fossero state somministrate nel tempo pesanti dosi di sonnifero al fine di farlo dormire “a comando”, a seconda delle esigenze personali degli infermieri che lo avevano in carico.
Peraltro, a causa dell’irreperibilità della cartella clinica del paziente, gli inquirenti non riescono a risalire agli effettivi autori materiali delle condotte.
Ciononostante, essendo emerso che si trattasse non già di un’eccezione, bensì di una modalità generalizzata di trattamento degli ospiti della struttura, gli inquirenti provvedono ad aprire un procedimento penale nei confronti di tutto il personale della struttura.
In particolare, si procede penalmente anche nei confronti dell’infermiera Caia, con riferimento alla quale, seppure si sappia per certo che non abbia posto in essere alcuna delle condotte riferite da Tizio in querela, non avendo in carico quel determinato paziente, si sostiene che, per il solo fatto di lavorare lì ogni giorno, avesse certamente rafforzato ed agevolato il protrarsi di comportamenti violenti da parte di altri nei confronti degli anziani.
Caia, preoccupata per la sua posizione e totalmente estranea ai fatti contestati, si rivolge quindi al suo difensore di fiducia, al fine di verificare se sussistano profili di responsabilità penale a suo carico.
Il candidato, assunte le vesti del legale dell’infermiera, premessi brevi cenni sugli istituti giuridici sottesi, rediga un parere motivato sulla vicenda.
Fattispecie
In materia di concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p., deve escludersi la responsabilità penale del compartecipe che si ipotizza abbia rafforzato l’altrui proposito criminoso laddove gli autori materiali della condotta non siano stati identificati.
Istituti
- art. 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi)
- art. 591 c.p. (abbandono di persone minori o incapaci)
- art. 590 c.p. (lesioni personali colpose)
- art. 613 c.p. (stato di incapacità procurato mediante violenza)
- art. 110 c.p. (concorso di persone nel reato)
Giurisprudenza
- Cassazione Penale, sez VI, 28-3-2019, n. 16583. Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’Art. 572 c.p., commesso all’interno di una comunità per l’assistenza e la cura dei disabili, lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime può derivare anche dal clima vessatorio generalmente instaurato, per effetto di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi dal personale a carico dei soggetti ricoverati, i quali, a causa delle proprie condizioni di vulnerabilità, sono vittime del detto reato tanto se patiscano in prima persona le violenze fisiche o verbali, quanto se ne siano meri spettatori.
- Cassazione Penale, sez. VI, 3 febbraio 2016, n. 6661. Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 572 c.p. la materialità del fatto deve consistere in una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo, infliggendogli abitualmente tali sofferenze.
- Cassazione Penale, sez. VI, 21 luglio 2015, n. 36941. In tema di concorso di persone nel reato, il principio della pari responsabilità dei concorrenti previsto dall'art. 110 cod. pen. non esonera dall'individuazione dell'autore o dei coautori della condotta descritta dalla fattispecie incriminatrice, poichè l'attribuzione del fatto di reato al terzo, cui non sia ascrivibile tale condotta, presuppone una partecipazione psichica necessariamente in rapporto ad uno o più autori materiali dell'illecito penale.
- Cassazione Penale, sez. V, 3 luglio 2014, n. 37444. Ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 591 c.p., il necessario "abbandono" è integrato da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo.
- Cassazione Penale, sez. II, 6 dicembre 2012, n. 10994. I reati di maltrattamenti in famiglia e di abbandono di persone minori o incapaci possono concorrere in quanto le relative fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni diversi ed integrate da condotte differenti.
Svolgimento
Nella vicenda prospettata, al fine di verificare l’eventuale rilevanza penale della condotta dell’infermiera Caia, è opportuno, in primo luogo, esaminare quelle poste in essere dagli autori materiali, benché questi ultimi non siano stati identificati a causa dell’irreperibilità della cartella clinica del paziente Tizio.
Orbene, considerato che quest’ultimo, durante il ricovero nella struttura, è stato vittima di molteplici condotte violente, consistite in schiaffi, pugni, sputi, quanto dal medesimo subito è astrattamente riconducibile alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 572 c.p., il quale, rubricato “Maltrattamenti contro familiari e conviventi”, stabilisce al comma 1, per quello che qui rileva, che “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni”.
Il bene giuridico tutelato non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone suindicate. Inoltre, si tratta di un reato proprio perché è imprescindibile la sussistenza di un determinato rapporto tra soggetto agente e persona offesa.
Rientra nella categoria dei reati necessariamente abituali, caratterizzato dalla presenza di una serie di fatti, per lo più commissivi ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili, ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo.
Relativamente a tale aspetto, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario è concorde nel ritenere che “Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 572 c.p. la materialità del fatto deve consistere in una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo, infliggendogli abitualmente tali sofferenze “(Cass. pen., sez. VI, 3 febbraio 2016, n. 6661).
L’elemento oggettivo va ravvisato ogniqualvolta l’autore materiale maltratti una persona a lui affidata per ragioni di cura, vigilanza, custodia.
Per quanto concerne l’elemento psicologico, è sufficiente il dolo generico, ovverosia la coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale.
Nel caso concreto, è di tutta evidenza che quanto subito dal paziente Tizio sia sussumibile nella fattispecie delittuosa di cui all’art. 572 c.p.; invero, con coscienza e volontà, durante il periodo di ricovero, è stato sottoposto a molteplici condotte vessatorie da parte degli infermieri.
Non paghi di ciò, questi ultimi hanno altresì trascurato di prestare l’assistenza igienica necessaria ad un soggetto affetto da gravissime difficoltà deambulatorie.
Tale condotta sembrerebbe configurare il delitto di cui all’art. 591 c.p. che, rubricato “Abbandono di persone minori o incapaci”, sanziona con la reclusione da sei mesi a cinque anni, “Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura”.
Si tratta di una disposizione normativa che tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. È anch’esso un reato proprio.
Per quanto rileva nel caso di specie, esso si realizza laddove il soggetto agente abbandoni una persona che, per malattia di mente o di corpo, o per vecchiaia, sia incapace di provvedere a se stessa e della quale abbia la custodia o debba avere cura.
L’abbandono è integrato da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo.
L’elemento soggettivo tassativamente richiesto dalla disposizione in oggetto è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di porre in essere la condotta summenzionata, senza che occorra un particolare malanimo da parte del reo.
Premesso ciò, posto che il personale della struttura, coscientemente e volontariamente, non ha prestato l’assistenza igienica a Tizio in gravi difficoltà deambulatorie, deve ritenersi che si sia reso responsabile anche del reato di cui all’art. 591 c.p.
Inoltre, non è superfluo ricordare che la giurisprudenza di legittimità, in diverse occasioni, abbia ribadito che i reati di cui agli artt. 572 e 591 c.p. possano legittimamente concorrere a causa della diversità dei beni giuridici rispettivamente tutelati (Cass. pen., sez. II, 6 dicembre 2012, n. 10994).
Tale situazione ha comportato ai danni del paziente la formazione di dolorose piaghe da decubito, in considerazione del fatto che sia stato lasciato giorni e giorni nel letto senza fargli cambiare posizione.
Pertanto, è necessario, a questo punto della trattazione, introdurre il reato di cui all’art. 590 c.p., ai sensi del quale “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309”.
Si tratta di una fattispecie incriminatrice posta a tutela della vita e dell’incolumità individuale; inoltre, come emerge dal tenore letterale della disposizione, è un reato comune in quanto il soggetto agente può essere chiunque.
Esso si configura nel momento in cui l’autore materiale cagioni alla persona offesa una lesione personale dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente.
È tuttavia necessario che la lesione venga cagionata per colpa, con ciò intendendosi che l’evento nefasto deve verificarsi a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 c.p.).
Nella vicenda prospettata, è indubbio che sussista altresì il reato di lesioni colpose a carico del personale infermieristico della struttura che ha ospitato il paziente Tizio.
Infatti, deve affermarsi che se gli infermieri avessero diligentemente accudito l’anziano, in particolare facendogli cambiare spesso posizione, avrebbero evitato la formazione delle dolorose piaghe da decubito.
Nel corso delle indagini, inoltre, gli inquirenti hanno scoperto che a Tizio fossero state somministrate diverse dosi di sonnifero, allo scopo di farlo dormire “a comando”.
Tale condotta sembrerebbe sussumibile nel delitto di cui all’art. 613 c.p., il quale, rubricato “Stato di incapacità procurato mediante violenza”, prevede che “Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia, o mediante somministrazione di sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il consenso di lei, in stato d’incapacità di intendere o di volere, è punito con la reclusione fino a un anno”.
Il bene giuridico tutelato è rappresentato dalla libertà morale della vittima; si tratta di un reato comune.
In merito all’elemento oggettivo, affinché si configuri è imprescindibile che l’agente, mediante somministrazione di sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, ponga un soggetto, senza il di lui consenso, in stato di incapacità di intendere o di volere.
L’elemento soggettivo è il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di realizzare quanto testé riportato.
Nel caso de quo, è incontrovertibile la configurabilità del delitto di cui all’art. 613 c.p. ai danni del paziente Tizio; invero, con coscienza e volontà, mediante la somministrazione di pesanti dosi di sonnifero, è stato posto dagli infermieri in stato di incapacità di intendere o di volere, al fine di farlo dormire “a comando”.
Appurate nel complesso le condotte penalmente rilevanti poste in essere ai danni dell’anziano Tizio, è necessario, a questo punto, verificare se sussistano, a carico di Caia, eventuali profili concorsuali.
Al riguardo, non è superfluo richiamare l’art. 110 c.p., ai sensi del quale “Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti”.
Affinché trovi applicazione l’istituto del concorso di persone nel reato è necessaria la presenza di diversi requisiti: una pluralità di soggetti, la commissione di un fatto di reato, l’elemento soggettivo tipico del reato e la volontà di contribuire causalmente alla realizzazione dello stesso.
Il contributo alla realizzazione del reato può essere sia materiale che morale.
Si ha concorso materiale laddove il compartecipe contribuisca con una condotta materiale atipica alla realizzazione del fatto di reato.
Quello morale, invece, assume la forma della determinazione o della istigazione.
Con la determinazione un soggetto fa sorgere in capo ad un altro, ex novo, un proposito criminoso prima inesistente; con la istigazione, di converso, un soggetto rafforza il proposito criminoso già preesistente.
Nel caso in oggetto, se non si può escludere che, quantomeno astrattamente, la condotta omissiva dell’infermiera Caia, consistita nel non aver impedito quanto commesso ai danni di Tizio, possa aver rafforzato e agevolato il proposito criminoso dei colleghi, è altrettanto vero che non essendo stati individuati i responsabili materiali dei crimini, non potrà risponderne a titolo di concorso.
Tale assunto trova conferma in un condivisibile orientamento della Suprema Corte di Cassazione, la quale non ha mancato di evidenziare che “In tema di concorso di persone nel reato, il principio della pari responsabilità dei concorrenti previsto dall'art. 110 cod. pen. non esonera dall'individuazione dell'autore o dei coautori della condotta descritta dalla fattispecie incriminatrice, poiché l'attribuzione del fatto di reato al terzo, cui non sia ascrivibile tale condotta, presuppone una partecipazione psichica necessariamente in rapporto ad uno o più autori materiali dell'illecito penale” (Cass. pen., sez. VI, 21 luglio 2015, n. 36941).
Ne discende, dunque, che la stessa non potrà essere ritenuta responsabile dei delitti sopra descritti.
Conclusioni
Alla luce del ragionamento sopra esposto, pertanto, deve affermarsi che l’anziano Tizio sia stato vittima dei delitti di cui agli artt. 572, 591, 590 e 613 c.p. realizzati ai suoi danni dal personale infermieristico della casa di riposo presso la quale era ricoverato.
Tuttavia, poiché a causa della irreperibilità della cartella clinica dell’uomo non sono stati identificati gli autori materiali delle fattispecie incriminatrici suddette, deve escludersi, in virtù dell’orientamento giurisprudenziale richiamato, che possa rispondere delle stesse l’infermiera Caia, nella sua qualità di compartecipe morale, in concorso ex art. 110 c.p.