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Traccia | Giurisprudenza | Svolgimento |
Traccia
Mevio, coniugato con Sempronia, è titolare del diritto di abitazione sull’appartamento paterno sito in Alfa, costituito in suo favore dal genitore Caio, con testamento olografo del 25.07.2007.
Tuttavia, i coniugi, estenuati dalle fatiche che l’attività lavorativa dagli stessi svolta comporta ed avendo necessità di ulteriori risorse economiche che garantirebbero loro la possibilità di godersi la crociera tanto attesa ai Caraibi, decidono di concedere in locazione parte del predetto immobile.
In particolare, considerato che il piano terra risulti di fatto inutilizzato, pur non essendo autonomo rispetto al resto dell’edificio, Mevio si rivolge ad un legale al fine di avere un parere circa la possibilità di destinarlo ad una finalità differente da quella dell’abitazione.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Mevio, premessi brevi cenni sugli istituti giuridici sottesi, rediga un parere motivato sulla vicenda.
Giurisprudenza
- Cassazione civile, sez. II, 24 aprile 2018, n. 10065. In tema di diritto di abitazione, il credito derivante dalle migliorie e dalle addizioni apportate è inesigibile prima della restituzione del bene al nudo proprietario, in quanto, in applicazione del principio del divieto di arricchimento ingiustificato, solo al momento della riconsegna è possibile verificare se sia residuata una differenza tra lo speso e il migliorato.
- Cassazione civile, sez. II, 27 giugno 2014, n. 14687. Il divieto di cessione del diritto di abitazione o di concederlo in locazione a terzi sancito dall'art. 1024 c.c. comporta che il titolare di tale diritto può utilizzare l'immobile che ne costituisce l'oggetto soltanto abitandovi personalmente con la propria famiglia (limitazione che differenzia tale diritto da quello d'uso, il cui titolare può utilizzare la cosa che ne costituisce oggetto anche per finalità diverse da quelle dell'abitazione, come ad esempio per deposito o per uso ad ufficio riguardante la sua attività imprenditoriale), con il divieto quindi di destinare l'immobile a forme di godimento indirette, cosicché tale diritto non può avere attuazione diversa da quella dell'abitazione personale dell'immobile da parte del relativo titolare.
- Cassazione civile, sez. II, 4 aprile 2006, n. 7811. Il diritto di uso non è limitato a soddisfare i bisogni personali, ma si estende a tutte le utilità che possono obiettivamente trarsi dal bene secondo la sua destinazione, potendo l’usuario – non diversamente dall’usufruttuario – servirsi della cosa in modo pieno, dovendo soltanto rispettare la destinazione economica di essa.
Svolgimento
Al fine di verificare se Mevio, titolare del diritto di abitazione sull’appartamento paterno, possa concedere il predetto bene in locazione, è necessario, preliminarmente, svolgere brevi cenni in ordine agli istituti giuridici sottesi al caso concreto.
In particolare, l’art. 1022 c.c. stabilisce che “chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”.
Si tratta di un diritto facente parte della categoria dei diritti reali di godimento; invero, insistendo su una cosa altrui, comporta una compressione sostanziale del diritto del proprietario.
Esso, nonostante il tenore letterale della disposizione, si estende a tutto ciò che concorra ad integrare la casa, sotto forma di accessorio o di pertinenza, poiché l’abitazione non comprende soltanto i vani abitabili ma tutto ciò che ne rappresenti la parte accessoria.
Nell’ambito del concetto di “famiglia” rientrano, per espressa previsione normativa, “anche i figli nati dopo che è cominciato il diritto d’uso o d’abitazione, quantunque nel tempo in cui il diritto è sorto la persona non avesse contratto matrimonio”, nonché i figli adottivi, riconosciuti e le persone che convivano con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi (art. 1023 c.c.).
Laddove quest’ultimo occupi tutto l’immobile oggetto del diritto, egli sarà tenuto alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi; qualora, di converso, occupi esclusivamente una parte della casa, contribuirà in proporzione all’effettivo godimento (art. 1025 c.c.).
Il diritto di abitazione è affine al diritto d’uso di cui all’art. 1021 c.c., dal quale tuttavia differisce per il solo fatto che quest’ultimo consenta al titolare di servirsi di un bene e, se fruttifero, di raccogliere i frutti per quanto occorra ai bisogni suoi e della sua famiglia.
Pertanto, colui in favore del quale venga costituito un diritto d’uso potrà servirsi della cosa anche per finalità diverse da quella della semplice abitazione, dovendo unicamente limitarsi a rispettarne la destinazione economica.
Tale aspetto è stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “Il diritto di uso non è limitato a soddisfare i bisogni personali, ma si estende a tutte le utilità che possono obiettivamente trarsi dal bene secondo la sua destinazione, potendo l’usuario – non diversamente dall’usufruttuario – servirsi della cosa in modo pieno, dovendo soltanto rispettare la destinazione economica di essa” (Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2006, n. 7811).
Si può, dunque, affermare che la distinzione fra diritto di uso e di abitazione sia di carattere meramente qualitativo, riferendosi il secondo a quella speciale forma di uso che, avendo per oggetto un edificio o una porzione di esso, soddisfi l’esigenza abitativa per il titolare e per la sua famiglia.
Nella fattispecie concreta, se è certo che Mevio sia titolare di un diritto di abitazione sull’appartamento paterno, lo stesso non potrebbe dirsi legittimato a concedere l’immobile in locazione a terzi.
Invero, a tal proposito, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1024 c.c., “i diritti di uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione”.
La disposizione testé citata, peraltro, non lascia adito ad alcun dubbio: stante il carattere personale del diritto di abitazione, questo non può costituire oggetto di cessione a terzi, nemmeno per quanto concerne il suo esercizio, né avere attuazione diversa da quella dell’abitazione personale da parte del titolare.
Tuttavia, se relativamente al diritto di uso la Suprema Corte di Cassazione ha ammesso che le parti, previa espressa pattuizione, possano derogare a tale limitazione (Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2006, n. 4599), per quanto concerne il diritto di abitazione ha chiarito che “il divieto di cessione del diritto di abitazione o di concederlo in locazione a terzi sancito dall'art. 1024 c.c. comporta che il titolare di tale diritto può utilizzare l'immobile che ne costituisce l'oggetto soltanto abitandovi personalmente con la propria famiglia (limitazione che differenzia tale diritto da quello d'uso, il cui titolare può utilizzare la cosa che ne costituisce oggetto anche per finalità diverse da quelle dell'abitazione, come ad esempio per deposito o per uso ad ufficio riguardante la sua attività imprenditoriale), con il divieto quindi di destinare l'immobile a forme di godimento indirette, cosicché tale diritto non può avere attuazione diversa da quella dell'abitazione personale dell'immobile da parte del relativo titolare” (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2014, n. 14687).
Come emerge dalla pronuncia predetta, dunque, deve escludersi che Mevio possa destinare l’immobile a finalità differenti da quella dell’abitazione personale, che rappresenta la peculiarità dei diritto di cui all’art. 1022 c.c.; infatti, al riguardo la legge, come evidenziato in precedenza, circoscrive il godimento dell’abitazione unicamente al titolare del diritto, per il soddisfacimento dei bisogni propri e della sua famiglia.
Conseguentemente, non è ammissibile l’occupazione dell’abitazione da parte di soggetti terzi rispetto a quelli summenzionati.