Deve essere rivalutata la legittimità del sequestro probatorio e preventivo di circa 26mila mascherine di diversa tipologia in riferimento alle quali era stato contestato in via provvisoria il reato di cui all’art. 515 c.p.. Le suddette mascherine, seppur prive del marchio CE, non erano infatti state qualificate come presidio medico. Significativa inoltre la circostanza che le mascherine erano state poste in vendita in una ferramenta e non in farmacia.
Il Tribunale di Genova confermava il sequestro probatorio e preventivo, eseguito in via di urgenza dalla Polizia giudiziaria e convalidato dal GIP, avente ad oggetto circa 26mila mascherine appartenenti a diverse tipologie commerciali utilizzabili per il contenimento della diffusione del COVID-19. L’imputazione provvisoria formulata a carico dei due indagati è quella di violazione dell’art. 515 c.p. in quanto le mascherine erano prive della corretta certificazione recante il marchio CE. Il provvedimento è stato impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione.
Riepilogando la vicenda, il Collegio sottolinea che, diversamente da quanto ritenuto dai due ricorrenti, il provvedimento impugnato è adeguatamente ed esaurientemente motivato. La motivazione del provvedimento del GIP è infatti stata integrata da ulteriori argomenti valutati dal Tribunale.
Quanto alla sussistenza del fumus del reato, il Collegio ricorda che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’adozione della misura in esame, sebbene non sia necessaria la dimostrata ricorrenza in capo agli indagati dei “gravi indizi di colpevolezza” è comunque indispensabile che ricorrano elementi da cui sia astrattamente ravvisabile la commissione del fatto. In altre parole «in tema di sequestro preventivo, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato».
Nel caso di specie, il Tribunale di Genova ha erroneamente ritenuto che la cessione di qualsivoglia tipologia di mascherina da apporre sul viso al fine di evitare l’emissione di particelle di saliva e contenere così il rischio di diffusione del COVID-19, laddove priva di certificazione della regolarità rispetto alla normativa anti-contagio integri l’astratta condotta di cui all’art. 515 c.p.. Il Collegio sottolinea infatti che la norma citata sanziona penalmente la cessione di beni diversi per origine, provenienza, qualità o quantità rispetto ai beni dichiarati o pattuiti. Nel caso di specie, il Tribunale non ha fornito alcun elemento per poter rilevare che gli indagati abbiano messo in vendita beni preventivamente dichiarati come presidi medici per la prevenzione del contagio da COVID-19, unica condizione che sarebbe stata necessaria ed idonea per far ritenere astrattamente integrato il reato contestato.
Per questi motivi, la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Genova per un nuovo esame.
Fonte: Diritto e Giustizia