L’art. 572 c.p. è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma anche in presenza di un rapporto familiare di mero fatto, il quale, in assenza di una stabile convivenza tra le parti, può desumersi «dall’avvio di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà e assistenza».
Il Tribunale di Bari riformava l’ordinanza con cui il GIP aveva imposto all’indagato il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché il divieto di comunicare con la stessa in relazione al reato di cui all’art. 572 c.p..
Contro tale pronuncia, il difensore dell’indagato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, l’erronea applicazione dell’art. 572 citato, considerando l’assenza di uno stabile rapporto di convivenza con la persona offesa.
La Corte di Cassazione dichiara il motivo di ricorso fondato, in quanto nel caso di specie non possono ravvisarsi le condizioni di un’assistenza materiale e morale reciproca tra l’indagato e la persona offesa.
In tal senso, gli Ermellini rammentano che il reato di maltrattamenti presuppone un rapporto stabile di affidamento e solidarietà tra le parti tale per cui le aggressioni compiute dall’agente possono ledere la dignità della vittima, rompendo quel rapporto che dovrebbe ispirarsi alla fiducia e alla condivisione.
Ciò posto, il reato ex art. 572 c.p. si configura anche all’interno di nuclei familiari non fondati sul matrimonio, applicandosi «a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale».
Una tale relazione può certamente essere riscontrata tra persone legate da un rapporto di mero fatto, il quale presenti somiglianze e analogie con quella propria delle relazioni coniugali per via dell’intimità e delle consuetudini di vita correnti tra le parti ed anche nel caso di persone legate da relazione sentimentale che comporti una frequentazione assidua dell’abitazione, quando comporti un rapporto abituale da cui sorgano sentimenti di solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale.
Nel caso concreto, la Corte osserva che il Tribunale aveva attribuito rilevanza alla stabilità della relazione intercorrente tra l’indagato e la persona offesa, il quale poteva desumersi dal fatto che il primo avesse preso in locazione un appartamento per gli incontri con la seconda. Tuttavia, rilevano gli Ermellini, l’imputato non aveva mai coabitato né convissuto con la stessa, limitandosi a intrattenere con lei una relazione clandestina per cui l’appartamento serviva unicamente per incontrarsi, senza che da ciò potesse emergere un progetto di vita fondato su reciproca solidarietà ed assistenza.
Proprio per tale ragione, gli Ermellini non riscontrano in tal caso i presupposti del reato di maltrattamenti, dunque annullano senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Fonte: Diritto e Giustizia