La questione portata all’attenzione del Giudice (anche) regolatore della competenza verte sul corretto radicamento del giudizio innanzi alla sezione ordinaria del Tribunale di Macerata con riferimento ad una controversia riguardante l’invalidità di un contratto di intermediazione finanziaria – e il connesso diritto al risarcimento del danno – per l’acquisto di azioni di una banca rispetto alle quali gli investitori contestavano il mancato rispetto degli obblighi di protezione ed informazione (anche detti di protective disclosure), ex art. 21 del d.lgs. 58/1998 (T.U.F.).
Il dubbio ermeneutico è sorto a seguito dell’emanazione di un’ordinanza del Tribunale di Macerata con la quale veniva dichiarata l’incompetenza della sezione ordinaria in favore della sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Ancona, muovendo dal presupposto che la lite, sebbene sorta nell’esecuzione di un rapporto di investimento finanziario, comporterebbe necessariamente la costituzione di un rapporto sociale (in virtù dell’acquisto di azioni), elemento sufficiente ad integrare i presupposti per trasferire la competenza in capo alla sezione specializzata.
Gli investitori hanno impugnato l’ordinanza con istanza di regolamento di competenza, ai sensi dell’art. 42 c.p.c., adducendo che i “rapporti societari” e “tutti i negozi aventi ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti”, così come intesi rispettivamente dalle lett. a) e b) dell’art. 3 d.lgs. n. 168/2003, non includerebbero anche i rapporti di natura bancaria scaturenti dallo svolgimento delle prestazioni afferenti ad un contratto di investimento finanziario.
La Suprema Corte, ponendosi nel solco di un orientamento restrittivo già iniziato a consolidarsi nella giurisprudenza di legittimità (Cass., ord. 21 febbraio 2007, n. 4523, Cass. ord. 16 ottobre 2014, n. 21910), ha ritenuto fondata l’istanza di regolamento di competenza dal momento che le ragioni della domanda attorea non investono il rapporto del socio con la società, gli organi di amministrazione e controllo o gli altri soci, bensì quello tra risparmiatore ed istituto bancario per il mancato rispetto delle norme del T.U.F. dettate a presidio del cd. contraente debole.
Siffatto orientamento è altresì conforme ad un’interpretazione che tenga conto della volontà del legislatore (la cd. interpretazione autentica, di cui all’art. 12 delle preleggi) in considerazione del fatto che con il d.l. 1/2012, convertito con modificazioni dalla l. 27/2012, il legislatore ha volutamente escluso le controversie in materia di intermediazione mobiliare dalla cognizione delle sezioni in materia d’impresa al fine di garantire l’esigenza di specializzazione di tali sezioni.
Nel caso di specie risulta irrilevante se l’acquisto della partecipazione azionaria sia dipeso dalla volontà del socio di conseguire (o rafforzare) un’influenza nelle dinamiche societarie oppure al contrario egli sia mosso da ragioni puramente speculative del tutto indifferenti alle dialettiche assembleari. Ciò che viene in rilievo non è quindi la motivazione dell’investimento azionario, ma piuttosto la causa negoziale prospettata nell’atto introduttivo del giudizio, per tale intendendosi la ragione che ha dato origine alla controversia.
Orbene, nel caso de quo appare indubbio che la motivazione alla base della lite sia riconducibile alla violazione delle norme legali di comportamento che gravano sull’intermediario finanziario, restando del tutto estranea l’applicazione delle norme che disciplinano il rapporto sociale e le connesse vicende circolatorie. Ne deriva che il Tribunale di Macerata ha errato nel negare la propria competenza rispetto a tale controversia e sarà pertanto tenuto a pronunciarsi nel merito.
Fonte: Diritto e Giustizia