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Traccia | Giurisprudenza | Svolgimento |
Traccia
Sempronia è titolare dell’impresa edile Alfa, nell’ambito della quale riveste la qualità di rappresentante legale; la stessa, però, di fatto, viene gestita dal coniuge Tizio, il quale ha assunto il ruolo di vero e proprio dominus dell’impresa, occupandosi dell’organizzazione dei cantieri, delle forniture, nonché di vigilare sui dipendenti.
Alle dipendenze dei due lavora, tra gli altri, il muratore Caio, al quale è stato affidato l’incarico di ristrutturare la facciata di una palazzina.
Poiché la ditta è a corto di impalcature, impegnate in un altro cantiere, Caio, a fine giornata, è costretto a smontare l’intero ponteggio e a predisporlo poco più avanti rispetto alla precedente collocazione, al fine di consentire lo svolgimento del lavoro per il giorno successivo.
Sporadicamente, Tizio si reca nel cantiere presso il quale si trova il muratore ma, pur avendolo spesso trovato sprovvisto di cintura di sicurezza, omette di informarlo rispetto ai rischi di infortunio e di assicurarsi che il medesimo adotti le misure necessarie al fine di evitarli.
Una mattina, poiché Caio ha già terminato la porzione di muro antistante il ponteggio, anziché aspettare la fine della giornata per spostare l’impalcatura, decide di farlo prima di pranzo per velocizzare i tempi.
Peraltro, mentre si sporge dal ponteggio per afferrare la carrucola tramite la quale trasportare tutti gli elementi a terra, perde l’equilibrio e precipita da un’altezza di dieci metri.
Poco dopo, sopraggiunge in cantiere per un controllo anche Tizio il quale, accortosi di quanto accaduto, chiama immediatamente i soccorsi, ma il muratore perde la vita prima del loro intervento.
Sul posto giungono anche i Carabinieri, i quali constatano che Caio non avesse la cintura di sicurezza.
I coniugi Sempronia e Tizio vengono, quindi, sottoposti a procedimento penale per il reato di omicidio aggravato ex artt. 110, 589, comma 2, c.p., nell’ambito del quale si costituisce parte civile Orazio, padre della vittima, chiedendo il risarcimento dei danni subiti per un importo pari ad euro 150.000,00.
Ad esito di dibattimento, i due imputati vengono assolti: in motivazione si legge che Sempronia non avesse alcuna responsabilità, essendo unicamente rappresentante legale della società e non avendo un effettivo ruolo di controllo nel cantiere, il quale, invece, veniva ricoperto da Tizio. Anch’egli, peraltro, veniva ritenuto innocente, in ragione del fatto che la morte del muratore dovesse essere attribuita unicamente ad un comportamento anomalo del dipendente, avendo questi smontato il ponteggio in un orario insolito.
Orazio, alquanto amareggiato dall’esito del procedimento, revoca il mandato al precedente difensore e nomina un nuovo legale.
Il candidato, assunte le vesti del nuovo legale di Orazio, rediga l’atto giudiziario più idoneo alla sua tutela.
Giurisprudenza
- Cassazione penale, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 18090. In tema di infortuni sul lavoro, ai sensi dell'art. 299, D. Lgs. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicchè l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell'imputato per il decesso di un lavoratore perchè assumendo il compito di organizzare e dirigere un sopralluogo, per conto del datore di lavoro, aveva assunto anche l'obbligo di garantire la sicurezza dei partecipi).
- Cassazione penale, sez. IV, 11 maggio 2016, n. 24139. Nel contesto del modello "collaborativo" che contraddistingue l'attuale normativa antinfortunistica, in cui gli obblighi sono ripartiti fra più soggetti, la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio mortale occorso al lavoratore può essere esclusa o, comunque, diminuita da un comportamento di quest'ultimo che si manifesti eccezionale, abnorme e, comunque, esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute dai superiori.
- Cassazione penale, sez. IV, 22 marzo 2016, n. 14775. Il titolare dell'impresa, il quale è tenuto a garantire la sicurezza di soggetti estranei all'attività lavorativa che, seppure occasionalmente, si trovano all'interno dell'ambiente di lavoro, è colpevole del reato di omicidio colposo in caso di evento mortale occorso ad uno di tali soggetti in occasione della sua presenza nel luogo di lavoro, a meno che l'anormalità, atipicità ed eccezionalità della condotta di quest'ultimo non sia stata tale da interrompere il nesso di causalità fra condotta ed evento.
- Cassazione penale, sez. IV, 19 marzo 2015, n. 22378. Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. (Fattispecie in cui la S. C. ha escluso il nesso causale tra la condotta omissiva consistita nella mancata adozione di misure idonee a garantire la sicurezza del luogo di lavoro, in particolare, di un'impalcatura e le lesioni gravi occorse al lavoratore, caduto da detta impalcatura, evento determinatosi a causa della maldestra riparazione provvisoria di un ponteggio, realizzata da soggetto rimasto ignoto ed in epoca sicuramente prossima al verificarsi dell'evento lesivo).
- Cassazione penale, sez. IV, 24 febbraio 2015, n. 13858. Nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire tout court all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare non solo l'apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all'interno di questo, al responsabile di settore, ma anche se il direttore generale con delega in materia antinfortunistica sia stato messo in condizioni di intervenire, in quanto portato a conoscenza della prassi lavorativa vigente nell'azienda pericolosa per la salute dei lavoratori (fattispecie relativa alla contestazione della responsabilità in capo al direttore dello stabilimento e al direttore generale, con delega in materia di sicurezza del lavoro, per il reato di lesioni personali colpose aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di un lavoratore).
- Cassazione penale, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 49732. In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell'amministratore della società, in ragione della posizione di garanzia assegnatagli dall'ordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente.
- Cassazione penale, sez. IV, 25 settembre 2014, n. 46437. L'ipotesi tipica del comportamento 'abnorme' è quella del lavoratore che provochi l'infortunio ponendo in essere, colposamente, un'attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento esorbitante rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed inevitabile) per il datore di lavoro (esclusa, nella specie, l'abnormità della condotta del lavoratore che, nello smontare, sporgendosi, degli elementi di un ponteggio, privo della cintura di sicurezza collegata alla fune di trattenuta, era precipitato da un'altezza di circa 14 metri).
Svolgimento
CORTE D’APPELLO DI ....
DICHIARAZIONE DI APPELLO
Il sottoscritto difensore e procuratore di Orazio, nato a ...., il ...., residente in ...., Via ...., n. ...., persona offesa costituita parte civile nel procedimento penale n. .... R.N.R., giusta procura speciale in calce al presente atto, propone appello avverso la sentenza n. ...., in data ...., depositata in data ...., con la quale il Tribunale di ...., in composizione monocratica, ha mandato assolti Sempronia e Tizio dal reato di cui agli artt. 110, 589, comma 2 c.p., per i seguenti
MOTIVI
La sentenza è palesemente inesatta nella parte in cui ha erroneamente ritenuto insussistenti in capo agli imputati gli elementi costitutivi del reato contestato; da un lato, infatti, secondo quanto erroneamente affermato dal Giudice di prime cure, Sempronia non avrebbe alcuna responsabilità in ordine al decesso di Caio, figlio dell’odierno appellante, in quanto la stessa non avrebbe rivestito, all’interno dell’impresa edile, alcun effettivo ruolo di controllo. Quest’ultimo, invero, sarebbe stato integralmente delegato a Tizio il quale, d’altra parte, non è stato ritenuto responsabile in ragione del fatto che l’infortunio occorso al dipendente, che ne ha cagionato la morte, sarebbe addebitabile unicamente al lavoratore stesso, avendo egli posto in essere un comportamento abnorme, esulante dalle mansioni specificamente attribuitegli e, pertanto, imprevedibile ed inevitabile da parte del datore di lavoro, anche con l’ordinaria diligenza.
Ebbene, sotto un primo profilo, deve evidenziarsi l’assoluta regolarità della condotta posta in essere da Caio, perfettamente rispondente non solo alle mansioni al medesimo attribuite ma altresì alle modalità specificamente indicate dall’azienda per il suo svolgimento. Al riguardo, ad esito dell’istruttoria dibattimentale è, infatti, ampiamente emerso che la necessità di spostare quotidianamente il medesimo ponteggio, da un punto ad un altro, all’interno del cantiere, derivasse dal fatto che l’azienda si trovasse a corto di impalcature, impegnate contemporaneamente in altro luogo. A Caio, pertanto, era stato specificamente affidato il compito di smontare il ponteggio, alla fine di ciascuna giornata, e di spostarlo più avanti rispetto alla precedente collocazione, al fine di consentire lo svolgimento del lavoro per il giorno successivo.
Egli, anche in occasione del sinistro occorsogli, si era, invero, limitato unicamente a porre in essere la predetta attività, pacificamente rientrante nell’ambito dei compiti al medesimo affidati dal datore di lavoro; né può assumere alcuna rilevanza la circostanza per cui il medesimo abbia provveduto a tale incombente in orario differente rispetto al solito – ovvero prima di pranzo anziché a fine giornata – atteso che la stessa non ha avuto alcuna efficacia causale nel verificarsi dell’evento, il cui rischio non sarebbe senza dubbio venuto meno laddove egli avesse adempiuto al predetto compito qualche ora più tardi. Caio non ha, dunque, posto in essere alcuna condotta colposa, imprevedibile ed eccezionale, esorbitante dalle mansioni lavorative a lui attribuite, idonea ad interrompere il nesso causale.
Sul punto, giova ricordare che la Suprema Corte di Cassazione abbia altresì chiarito che “l'ipotesi tipica del comportamento 'abnorme' è quella del lavoratore che provochi l'infortunio ponendo in essere, colposamente, un'attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento esorbitante rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed inevitabile) per il datore di lavoro (esclusa, nella specie, l'abnormità della condotta del lavoratore che, nello smontare, sporgendosi, degli elementi di un ponteggio, privo della cintura di sicurezza collegata alla fune di trattenuta, era precipitato da un'altezza di circa 14 metri)” (Cass. pen., sez. IV, 25 settembre 2014, n. 46437).
Nella fattispecie de qua, è del tutto evidente che il decesso di Caio sia esclusivamente derivato dall’assenza di attrezzature sufficienti per lo svolgimento dell’attività ad egli assegnata e dalla omissione, da parte dei titolari dell’impresa edile, delle misure di sicurezza necessarie alla prevenzione degli infortuni. Al riguardo, è infatti rimasto ampiamente provato in sede dibattimentale, che egli sia precipitato dal ponteggio proprio mentre cercava di afferrare la carrucola per portare a terra tutti gli elementi e spostare in avanti l’impalcatura e che, peraltro, fosse sprovvisto della cintura di sicurezza.
É, pertanto, del tutto evidente la responsabilità degli odierni imputati rispetto al predetto accadimento; essi, infatti, sono senza alcun dubbio titolari di una posizione di garanzia nei confronti dei propri dipendenti, in ragione della quale sono tenuti ad adottare tutte le cautele necessarie, peraltro imposte per Legge, al fine di consentire lo svolgimento dell’attività in piena sicurezza ed evitare il verificarsi di infortuni ai danni dei lavoratori.
Nella caso di specie, le predette cautele sono state senza dubbio colposamente omesse da Sempronia e Tizio, nonostante in capo ai medesimi sussistesse un preciso obbligo in tal senso. Da un lato, infatti, è evidente che l’attività quotidiana di smontaggio dell’impalcatura – ordinata dagli imputati – sia, di per se stessa, particolarmente pericolosa e determini l’insorgere di rischi ulteriori per coloro i quali siano tenuti a porle in essere; gli stessi, peraltro, ben avrebbero potuto essere evitati laddove l’impresa si fosse dotata delle ulteriori attrezzature necessarie per le opere di ristrutturazione commissionatele. D’altro canto, la mancata informazione dei dipendenti in ordine alle cautele necessarie per la prevenzione degli infortuni, oltre alla omessa vigilanza in relazione all’adozione, da parte di questi ultimi, delle misure di sicurezza, costituiscono con tutta evidenza violazioni di obblighi imposti al datore di lavoro, idonei a determinare, ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p. la responsabilità omissiva di questi ultimi in relazione ad eventuali sinistri occorsi ai dipendenti. La norma summenzionata prevede, infatti, che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
I soggetti posti a capo della azienda sono, evidentemente, titolari di una posizione di garanzia nei confronti dei propri dipendenti, in ragione della quale sono tenuti a porre in essere tutte le condotte necessarie a preservare anche l’incolumità degli stessi.
Gli odierni imputati dovranno, dunque, essere chiamati a rispondere del decesso del dipendente Caio, in concorso tra loro, atteso che, come noto, qualora vi siano più soggetti titolari della posizione di garanzia, ciascuno di essi deve ritenersi destinatario per intero dell’obbligo di impedire l’evento.
Al riguardo, peraltro, nessun dubbio può dirsi sussistente in ordine alla posizione di garanzia ricoperta da Tizio; egli, infatti, come riferito da tutti i testimoni sentiti in sede di istruttoria dibattimentale, ricopriva il ruolo di vero e proprio dominus dell’impresa, occupandosi dell’organizzazione dei cantieri, delle forniture nonché della vigilanza sui dipendenti.
Né, per quanto concerne la posizione ricoperta da Sempronia, può assumere alcuna rilevanza la circostanza – erroneamente avvalorata dal Giudice di primo grado – per cui la stessa, seppure rivestisse formalmente la qualità di rappresentante legale dell’impresa, non avesse alcun ruolo di controllo effettivo della attività svolta dall’azienda. Al riguardo, infatti, secondo quanto efficacemente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che “in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell'amministratore della società, in ragione della posizione di garanzia assegnatagli dall'ordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente” (Cass. pen, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 49732).
Alla luce di quanto esposto, è senza alcun dubbio provata la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato contestato, integrato in tutti i suoi elementi costitutivi nonché in ordine al danno cagionato alla parte civile, odierna appellante. Quest’ultimo, padre della vittima, ha infatti certamente patito, conseguentemente al decesso di Caio, una indicibile sofferenza, derivante dalla prematura perdita del legame parentale, la quale deve senza alcun dubbio essere risarcita, quale danno di natura non patrimoniale.
Per questi motivi, in riforma alla sentenza impugnata, Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello di ...., affermata la penale responsabilità di Sempronia e Tizio in ordine al reato ascrittogli, condannare gli imputati al giusto risarcimento di tutti i danni patiti dalla persona offesa, costituita parte civile, da liquidarsi nella somma di € 150.000,00 od in quella somma maggiore o minore che risulterà ad esito del giudizio, con gli interessi legali e la rivalutazione come per Legge, accordando una provvisionale non inferiore ad euro ...., oltre al pagamento delle spese processuali.
...., lì ....
Avv. .... (Firma)
NOMINA DEL DIFENSORE E PROCURA SPECIALE
Il sottoscritto Orazio, nato a …., il …. residente in …., via …., n. …., persona offesa costituita parte civile nel procedimento penale n. …. R.N.R., nei confronti di Sempronia e Tizio, per il reato di cui agli artt. 110, 589, comma 2 c.p.
DICHIARA
di nominare quale difensore l’Avv. …., con studio in …., Via …., n. …., al quale conferisce tutti i poteri e le facoltà previsti dalla Legge, compresa quella di nominare sostituti.
Revoca ogni precedente nomina di difensore eventualmente formulata.
Conferisce inoltre al difensore come sopra nominato espressa procura speciale affinché presenti apposito atto di appello avverso la sentenza n. …., pronunciata dal Tribunale di …., in composizione monocratica, in data …. e depositata in data …., nel summenzionato procedimento penale.
…., lì ….
…. (Firma)
É autentica
Avv. …. (Firma)