OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

Le Sezioni Unite sulla rilevanza degli interessi moratori ai fini della normativa antiusura

01 Ottobre 2020

La questione è sorta nell’ambito di una controversia relativa ad un finanziamento concesso con contratto di credito al consumo. Il creditore aveva ottenuto un decreto ingiuntivo contro la debitrice a titolo di rate insolute, capitale residuo, interessi moratori e penale. Il decreto ingiuntivo era però stato revocato dai giudici di merito che avevano ritenuto vessatorie le clausole delle condizioni generali di contratto che imponevano al debitore inadempiente l’immediato pagamento di tutte le rate scadute e quelle a scadere comprensive di interessi, oltre ad un ulteriore interesse di mora e alla penale. Nella fattispecie veniva infatti complessivamente applicato un interesse di mora del 18%, superiore al c.d. tasso soglia, con conseguente nullità ex art. 1815, comma 2, c.c..
La questione è giunta all’attenzione della Suprema Corte.

 

La I Sezione ha rimesso la causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite della questione relativa all’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori e alle conseguenze del superamento del tasso soglia.
Il Supremo Consesso conferma che la disciplina antiusura trova applicazione anche gli interessi moratori «intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.
La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi morati, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quel ulteriore tolleranza dal predetto decreto”.
Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione prevista.
Si applica l’art. 1815, comma 2, c.c., onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224, comma 1, c.c., con la conseguente debenza degli interessi nella misure dei corrispettivi lecitamente convenuti.
Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento.
Nei contratti conclusi con il consumatore, concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del codice del consumo, di cui al d.lgs. n. 206/2005, già art. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.
L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto».

 

Fonte: Diritto e Giustizia