La Sezione Quarta del Consiglio di Stato rimette all’Adunanza Plenaria la questione relativa all’esatta delimitazione dei vizi che consentono l’applicazione del regime di “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio di cui all’art. 38, T.U. edilizia, in sostituzione della demolizione.
Con l’ordinanza n. 1735/20, la IV Sezione del Consiglio di Stato rimette all’Adunanza Plenaria la questione vertente sull’esatta delimitazione dei vizi che consentono l’applicazione del regime di “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio al posto della demolizione, ai sensi dell’art. 38 del T.U. edilizia (n. 380/2001).
La vicenda, in sintesi, vede da un lato i due proprietari di un fabbricato rurale a Livigno, i quali avevano ottenuto dal Comune il permesso di costruire al fine di spostarlo più a valle, ristrutturarlo e trasformarlo in abitazione e, dall’altro lato, la proprietaria dell’immobile limitrofo, la quale aveva impugnato (dopo l’esecuzione del citato intervento) il permesso di costruire rilasciato dal Comune.
Il TAR Lombardia accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento che ne era oggetto.
Il Comune di Livigno impugnava la decisione, ma con esito negativo, poiché il ricorso veniva respinto dalla IV Sezione del Consiglio di Stato.
In seguito ad ulteriori ricorsi di entrambe le parti in gioco, la Sezione si arresta di fronte al seguente dubbio esegetico: se dinanzi all’annullamento in sede giurisdizionale del permesso di costruire per via della presenza di un vizio sostanziale non modificabile, l’art. 38 citato consenta o meno all’amministrazione di imporre solo la sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti eseguite abusivamente, con effetti equivalenti al conseguimento del permesso di costruire in sanatoria, rilevando la sussistenza di 3 orientamenti giurisprudenziali sul tema.
In base al primo, la fiscalizzazione dell’abuso è possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso.
Un secondo orientamento, più restrittivo, vede la fiscalizzazione dell’abuso possibile solo nel caso di vizi formali o procedurali emendabili.
Un terzo orientamento, infine, ritiene possibile la fiscalizzazione anche nei casi di vizio sostanziale, quando sia emendabile.
Da qui, il necessario intervento dell’Adunanza Plenaria.
L’oggetto della decisione implica l’esatta interpretazione dell’art. 38, T.U. edilizia, il quale pacifico effetto è quello di tutelare, in presenza di determinate condizioni, l’affidamento creatosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della costruzione progettata e compiuta in conseguenza al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria.
Ciò posto, gli interessi in rilievo vedono, da un lato, la tutela del legittimo affidamento e, dall’altro, la tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio. Il Legislatore contempera gli stessi attraverso una sorta di “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite” (fiscalizzazione dell’abuso).
Tale disposizione, proprio perché deroga al principio di necessaria repressione mediante demolizione degli abusi edilizi, necessita di due condizioni: la motivata valutazione relativa all’impossibilità dell’eliminazione dei vizi delle procedure amministrative e la motivata valutazione sull’impossibilità di restituzione in pristino.
Ora, l’Adunanza Plenaria si sofferma sul riferimento ai “vizi delle procedure amministrative”, sottolineando che la convalida attraverso la rimozione del vizio implica un’illegittimità di natura procedurale e tale riferimento delimita operativamente il campo semantico della successiva condizione.
Del resto, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 209/2010, giudicando sulla legittimità di una norma di interpretazione autentica circa una disposizione provinciale di identico tenore rispetto a quella in oggetto, ha affermato che “l’espressione «vizi delle procedure amministrative» non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i «vizi sostanziali», che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest’ultimo potenzialmente contenuto”.
Si evidenzia, infatti, che la tutela dell’affidamento mediante il potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può giungere fino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, ma deve limitarsi a vizi che attengono solo al procedimento autorizzativo, i quali non possono riversarsi in danno al privato che ha confidato in modo legittimo sulla presunzione di legittimità di quanto assentito.
All’esito di tali argomentazioni, l’Adunanza Plenaria restituisce gli atti alla IV Sezione ed enuncia il principio di diritto in base al quale «i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione».
Fonte: Diritto e Giustizia