Così ha sancito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 119/2023. L'art. 3, comma 3, l. n. 168/2017 è stato dichiarato incostituzionale «nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall'art. 3, comma 1, non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati».
La Corte ha precisato che «in caso di alienazione delle terre di proprietà privata, i diritti di uso civico seguono il bene e i componenti della collettività continuano a poter esercitare tutte le facoltà che gli usi civici conferiscono loro. Al contempo, il diritto di proprietà circola preservando sulla terra il vincolo paesaggistico, che impedisce al proprietario di apportare modificazioni pregiudizievoli per gli usi civici». Di conseguenza, «chiunque acquisti il fondo non può compiere alcun atto che possa compromettere il pieno godimento promiscuo», nonché il valore paesistico-ambientale correlato alla conservazione degli usi civici.
La sentenza ha dunque affermato che «il regime di inalienabilità delle terre di proprietà privata su cui insistono usi civici, che non era previsto dalla legislazione antecedente a quella del 2017, “si dimostra totalmente estraneo alla tutela di interessi generali” “sotto qualunque prospettiva lo si consideri”: l'inalienabilità non ha alcuna ragionevole connessione con lo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà privata. Conclusivamente, la norma censurata determina una “irragionevole conformazione e, di riflesso, una illegittima compressione della proprietà privata”». (...)
Fonte: Diritto e Giustizia